Quando una patologia genetica può influire sulla fertilità
Diverse patologie genetiche e acquisite possono ritardare o ostacolare lo sviluppo dei caratteri sessuali maschili col rischio di infertilità e handicap psicologici.
Sono le madri a parlarne ma la sensazione di un ridotto sviluppo genitale di un figlio maschio preoccupa anche i padri che però parlano però sempre per bocca delle mamme le quali riferiscono “ io non me intendo, ma ho l’impressione che i genitali del mio ragazzo siano rimasti piccoli, mentre mio marito dice che alla sua età era già sviluppato".
E' sempre più frequente che i genitori si preoccupino per lo sviluppo genitale dei figli e questo impensierisce non solo i genitori ma soprattutto i ragazzi, sempre più angosciati nel periodo puberale dalle differenze che notano con i compagni.
Nella maggior parte dei casi si tratta di un semplice ritardo nello sviluppo. D'altra parte potrebbe anche essere il segno di un problema più serio, sia nella femmina, sia nel maschio. «Definire se lo sviluppo individuale sia 'in ritardo' non è facile. Occorre una valutazione completa; si può parlare con qualche sicurezza di ritardo se non vediamo comparire i caratteri sessuali secondari nel ragazzo o se ragazza non ha ancora avuto mestruazioni e sviluppato le ghiandole del seno dopo i 15-16 anni», nota il Professor Giuseppe Chiumello che ha fondato e diretto la Clinica Pediatrica dell'Ospedale San Raffaele di Milano.
Vanno diagnosticate e affrontate le possibili cause organiche del ritardo (malattie croniche o rari tumori), malattie cromosomiche come sindrome di Turner o di Morris nelle femmine, di Klinefelter nei maschi o possibili cause croniche come ipotiroidismo o celiachia.
Tenendo presente però che perfino una attività fisica eccessiva e particolarmente stressante può comportare un ritardo nello sviluppo puberale.
«Nelle situazioni non patologiche è possibile intervenire farmacologicamente, ma nel decidere se trattare o non trattare è importante la valutazione anche psicologica del soggetto. L’aspetto psicologico, e specialmente la presenza di un disagio che può essere ancora non chiaramente manifesto, deve essere sempre tenuto presente, sia nell’ottica di una prevenzione, che quando si deve prendere una decisone terapeutica», sottolinea il professor Chiumello.